ASSEGNO DI MANTENIMENTO ED ATTITUDINE LAVORATIVA DEL CONIUGE. QUALE RILEVANZA NEL GIUDIZIO PER LE MODIFICHE ECONOMICHE?

Giu 21, 2021 | Separazioni

Una recentissima Sentenza della Corte di Cassazione ci permette di tornare a parlare dell’assegno di mantenimento.

In particolare ormai da qualche anno si è potuto notare un’importante evoluzione dal punto di vista giurisprudenziale relativamente ai requisiti per poter richiedere e/o mantenere l’assegno di mantenimento da parte di uno dei due coniugi.

L’aspetto oggi analizzato è quello dell’attitudine lavorativa quale parametro per, infatti, ritenere sussistente o meno tale diritto.

Ecco il caso.

Elena, di professione farmacista ma attualmente disoccupata, richiedeva nell’ambito del procedimento di separazione dal marito Achille la corresponsione di un assegno di mantenimento di Euro 1.000,00, parametrato tra le altre cose allo stile di vita fino a quel momento mantenuto.

Il marito Achille, al contrario, si opponeva a detto riconoscimento, affermando tra le altre cose che la moglie aveva rifiutato alcune offerte lavorative, in quanto più modeste e lontane dall’ambito lavorativo per il quale aveva studiato.

Tali scelte di Elena, però, secondo la ricostruzione del marito, non potevano ricadere sopra di lui medesimo.

I Giudizi di primo e secondo grado vedevano vittoriosa Elena; in particolare la Corte d’Appello stabiliva che “una donna quarantottenne, laureata, che aveva goduto di un livello di vita invidiabile” non poteva essere costretta a lavori “al banco di mescita o al badantato” pur di non perdere il diritto all’assegno; ha aggiunto che “il profilo individuale … non va mortificato con possibili occupazioni inadeguate”, affermando il diritto del coniuge a rifiutare un possibile lavoro in quanto “non ogni proposta lavorativa può ritenersi pertinente ed adeguata”.

In sostanza la Corte d’Appello riteneva giustificato il rifiuto di Elena a determinati lavori da lei considerati svilenti, condannando il marito a corrispondere il mantenimento fino al momento in cui non avesse trovato un lavoro per lei adeguato.

Achille ha quindi proposto ricorso in Cassazione, contestando i principi giuridici sopra esposti.

In seguito all’udienza di discussione della causa la Suprema Corte ha dato ragione ad Achille, stabilendo che in tema di separazione personale dei coniugi l’attitudine lavorativa di ciascuno di essi, quale potenzialità di guadagno, costituisce un elemento indispensabile al fine di valutare il diritto all’assegno di mantenimento; in particolare il Giudice dovrà accertare l’effettiva possibilità di svolgimento di un’attività retribuita, ivi compresa la possibilità di acquisire professionalità diverse ed ulteriori rispetto a quelle possedute in precedenza.

Non può essere tutelato, aggiunge la Corte, il diritto del coniuge a rifiutare (a prescindere) attività lavorative reputate inferiori, nell’ottica di concedere al medesimo il diritto all’assegno.

In particolare in questo caso Elena avrebbe dovuto quantomeno motivare in maniera compiuta il rifiuto a dette proposte di lavoro: non essendo accaduto ciò, la sua scelta non può essere valutata favorevolmente, in quanto mancante di elementi concreti per analizzarla.

La Corte, in conclusione, ha diminuito l’assegno di mantenimento di Elena, dando ragione ad Achille, sulla scorta, appunto, della capacità lavorativa della moglie, che non poteva rimanere necessariamente ancorata alle attività precedentemente svolte.

Una Sentenza destinata a far discutere, in quanto particolarmente aperta ad innumerevoli interpretazioni.

Rimaniamo, come sempre, a disposizione per ogni ulteriore chiarimento.