«Fortunatamente o sfortunatamente, io ho il controllo sulla sua mente, quindi mi tiro quello che voglio dalla sua bocca. L’ho fatta cancellare dai social, niente palestra, niente amiche. Se lei vuole uscire con le amiche io la faccio anche uscire però magari per il fatto che mi sia stato sottratto del tempo io la distruggo la sera dopo. Io non permetterei che lei facesse la stessa cosa con me».
Queste parole, che forse molti di voi hanno già riconosciuto, sono state recentemente pronunciate da un noto concorrente di un noto programma televisivo, suscitando non poco scalpore.
Questo tipo di “pensiero” ha avuto, come ovvio, un importante seguito e clamore mediatico, ed offre inevitabilmente uno spunto molto importante per trattare uno dei temi maggiormente affrontati e dibattuti negli ultimi anni: la violenza psicologica (di genere).
Nel nostro solito contributo di oggi cercheremo di fare chiarezza su cosa si intenda per violenza psicologica, se è configurabile come reato nel nostro ordinamento, quali tutele sono previste per la vittima e quali siano i modi per contrastarla.
Erroneamente si pensa che soltanto la violenza che lascia segni visibili sul corpo possa essere denunciata.
Così non è.
L’ordinamento giuridico italiano punisce anche le forme di violenze più subdole, quelle che non provocano lividi o ferite, ma che ugualmente lasciano cicatrici a volte anche più profonde di quelle del corpo.
La violenza psicologica si può manifestare in diversi modi, con gesti, parole o, a volte, con il semplice disprezzo.
In Italia secondo i dati Istat, sono circa il 35% delle donne a subire violenza psicologica.
In ambito giuridico, la violenza psicologica nello stato italiano ha una rilevanza non solo dal punto di vista penale, ma anche dal punto di vista civilistico: la vittima, infatti, ha diritto a richiedere ed ottenere il giusto risarcimento del danno, che terrà conto non solo del pregiudizio attuale, ma anche di tutti quei danni che si possono verificare in futuro: basti pensare a tutte quelle paure/stati d’ansia che restano e che possono condizionare la vita futura.
Dal punto di vista penalistico, invece, il nostro ordinamento prevede diversi reati connessi alla violenza psicologica, la quale assume di volta in volta una diversa definizione:
- in primis, il reato di maltrattamenti: ad esempio per chi maltratta una persona della famiglia o comunque convivente. Secondo la giurisprudenza integrano questo reato non soltanto le percosse, le lesioni, le ingiurie, le minacce, ma anche gli atti di disprezzo idonei a causare sofferenze morali. La Corte di Cassazione ha stabilito che anche atti omissivi, quali il costringere l’altra persona a portare, per esempio vestiario dimesso e sporco, la scarsità del cibo, la mancanza di igiene, omissioni che comunque producono gratuite umiliazioni, possano configurare questo reato;
- il reato di violenza privata: la legge punisce chi, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa. In questa ipotesi, non c’è neanche bisogno che la violenza sia esercitata sulla vittima perché si possa configurare detto reato. Integra, infatti, questo reato anche l’energia fisica esercitata su una cosa in modo tale da umiliare o intimidire l’altra persona offesa (ad esempio, spaccare i piatti nell’ambito di una discussione, al fine di incutere timore);
- il reato di minaccia: un comportamento intimidatorio del soggetto agente sulla sfera morale della vittima;
- la violenza psicologica, poi, può essere ben presente anche nel reato c.d. di stalking. La legge punisce chiunque, con condotte ripetute nel tempo, minaccia o molesta qualcuno in modo da provocargli un grave stato di ansia o di paura tale da costringere la vittima a modificare le proprie abitudini di vita.
Fatta una rapida descrizione dei principali reati connessi alla violenza psicologica secondo la legge Italiana, è bene ora analizzare come possa la vittima contrastare le condotte del suo aggressore.
Ciò da cui bisogna iniziare è la parte più difficile, ossia riconoscere di essere vittime di tali comportamenti.
Tuttavia le condotte del soggetto oppressore vengono giustificate dalla vittima, ritenute “normali”, addirittura sono considerate una dimostrazione d’amore e affetto.
Una volta che si è consapevoli di essere vittima e si comprende che le condotte subite sono reato e si decide di agire al fine di far cessare tali comportamenti, la persona offesa potrà tutelarsi sporgendo denuncia/querela alle autorità competenti che avvieranno così, le necessarie indagini e, qualora ci siano gli elementi sufficienti, apriranno un procedimento penale per l’imputazione meglio ritenuta.
È però necessario che la vittima non solo trovi il coraggio di denunciare il suo aggressore, ma riesca, in qualche modo, a provare la violenza psicologica subita.
Ancora oggi vi sono molte iniziative che incoraggiano la donna a denunciare: svariate campagne pubblicitarie volte alla sensibilizzazione contro la violenza, il vantaggio delle denunce nonché centri antiviolenza appositamente creati.
Tornando, dunque, alle dichiarazioni espresse “in diretta TV”, riportate all’inizio di questo articolo, viene da chiedersi che valore possa avere questa vera e propria confessione, rispetto a fatti che, se accertati, sicuramente configurerebbero almeno uno dei reati sopra descritti.
Va detto che alcuni di questi reati sono procedibili solo “a querela di parte”, ossia solamente nel caso in cui la vittima prenda coraggio e decida di sporgere denuncia.
A prescindere da ciò, l’input della “persona offesa” è sempre un dato di partenza importante.
La Corte di Cassazione, in ogni caso, ha statuito che “ai fini della prova, anche le registrazioni di telefonate avvenute senza il consenso dell’aggressore, hanno valenza legale”.
Alla luce di tutto quanto sopra esposto, esternazioni come il “pensiero” che vi abbiamo citato all’inizio di questo contributo, per di più rilasciate in prima serata TV, probabilmente non saranno sufficienti per attivare un’indagine da parte della magistratura, e forse (si spera) sono solo frutto di un’esagerazione creata ad hoc per creare audience, ma dall’altro potrebbero rappresentare una concreta prova dell’esistenza di eventuali violenze, anche davanti ad un Giudice.
In ogni caso tali fatti non possono e non devono passare inosservate, in quanto rappresentano un’importante spia di un retaggio culturale da sempre sbagliato che deve essere senza dubbio alcuno denunciato, contrastato e sanzionato.
Di Dott. Giulia Iacobucci